Differenze fra D.O.C. e D.O.C.G.
Nel panorama delle certificazioni e degli acronimi, il nostro Bel Paese è quello che ne ha di più. Ma due in particolare sono fondamentali per i nostri vini: le denominazioni D.O.C. e D.O.C.G..
Grazie a queste certificazioni si ha una sicurezza maggiore da parte del consumatore, ma anche delle imprese produttrici che vedono tutelato il proprio lavoro.
Fino al 1930 non vi era interesse alla regolamentazione del vino. La vera volta si ebbe nel 1992, con la legge n. 164/92 che introdusse una serie di innovazioni, arrivando a quella che oggi conosciamo come “la piramide dei vini” che nel 2008 viene ulteriormente modificata e regolamentata ottenendo il risultato che vedete qui accanto.
C’è da fare una premessa: non è detto che un vino D.O.C.G. sia migliore di un D.O.C..
La questione è che un vino D.O.C.G. è un vino che ha dovuto superare controlli rigidi per potersi guadagnare la nomina e che quindi in automatico garantisce al consumatore una qualità e una filiera decisamente più importanti.
Ma vediamo di fare chiarezza.
Iniziamo dalla D.O.C.: significa DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA, e non è un vero e proprio marchio perché è comune ad una grossa varietà di prodotti.
Nello specifico in campo enologico, certifica una zona di origine delimitata dalla raccolta delle uve usate per la produzione di un determinato vino sul quale è poi apposto il marchio.
Viene usato per segnalare prodotti di qualità e rinomati, le cui caratteristiche sono legate al territorio e all’ambiente circostante e che rispettano uno specifico disciplinare approvato.
I vini devono essere sottoposti a specifiche analisi fisico-chimiche ed organolettiche.
Però la più importante per noi rimane la D.O.C.G., che annovera in particolar modo il Barbaresco e significa DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA, che indica al consumatore l’origine geografica di un vino.
Deve essere obbligatoriamente indicato in etichetta e consiste o nell’indicazione geografica (in questo caso Barbaresco in provincia di Cuneo) o nella combinazione del nome del prodotto e della relativa zona di produzione ( es. Vino Nobile di Montepulciano, nome con cui è storicamente noto il vino Montepulciano in provincia di Siena).
Deve avere requisiti specifici che vediamo di seguito: oltre a rispettare un disciplinare specifico, è riservata a vini che possiedono la denominazione DOC da almeno 10 anni che sono poi ritenuti di particolare pregio grazie alle caratteristiche legate alla qualità rispetto alla media e a fattori come tradizione e storia che hanno fatto incrementare la valorizzazione e la rinomanza a livello internazionale. Anche questi vini devono passare attraverso specifiche analisi chimico- fisiche e organolettiche, anche durante l’imbottigliamento.
E’ poi prevista una fase di assaggio da una apposita commissione. Se queste regole non vengono rispettate il vino non può essere commerciato.
Al termine di tutto la legislazione prevede che le DOCG abbiano (in maniera facoltativa sulla falsa riga di quello che accade in Francia con i cru) un’ulteriore frammentazione in sottozone (comuni o parti di esso) o microzone (vigneti o poco più) anche chiamate MENZIONI GEOGRAFICHE AGGIUNTIVE (MGA). In Italia alcune DOCG, come per l’appunto il Barbaresco, prevedono questa segmentazione che va considerata come la punta della piramide qualitativa.
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